Ho conosciuto Libereso, ottantenne, in occasione di alcune battaglie in difesa del territorio. Era preoccupato per una modernità che distrugge i paesaggi più belli per fare posto a colate di cemento, a villaggi vacanze senza grazia, a porti inutili e rivolti a turisti ormai stanchi di tutto. Per molti anni l’ho seguito e accompagnato nei suoi numerosi viaggi, che affrontava sempre con grande energia e incredibile entusiasmo. Andava ovunque lo chiamassero, non importa se per grandi o piccole iniziative, per lui non c’era differenza fra una sala con mille persone o una riunione con pochi amici. Al telefono diceva sempre di sì a tutti, anche se, in segreto, preferiva gli incontri con le scuole. Con i vecchi diceva c’è poco da fare, pensano di sapere tutto, mentre i bambini imparano più velocemente e non hanno pregiudizi. E, inoltre, gli incontri con le scuole gli ricordavano l’attività della “semina”, importantissima per un giardiniere la cui principale dote richiesta è la pazienza. Amava andare sempre in posti nuovi, la sua curiosità era grande, come quella di un bambino e lo spingeva a viaggiare per scoprire paesaggi e piante nuove. Viaggiatore instancabile, poteva stare in macchina per ore a parlare senza soste, dal finestrino osservava le piante e te ne raccontava la storia: io, prima di incontrarlo, non conoscevo le erbe spontanee, da lui ho imparato a riconoscerle e apprezzarle. Nei primi anni poteva prendere il microfono e parlare per ore, incantando il pubblico con i suoi racconti, era anche un grande affabulatore e comunicatore. Con un linguaggio semplice e diretto condivideva la sua immensa conoscenza della botanica e della floricoltura, costruita non sui libri, ma con l’esperienza diretta maturata attraverso lunghi viaggi fra continenti, camminando per boschi, prati, giardini, colline e montagne. Nei suoi incontri ha sempre ricordato la figura di Mario Calvino, che gli ha dato molto e che sentiva come un padre. La giacca di “giardiniere di Calvino”, indossata sull’equivoco del riferimento a Italo, gli ha dato notorietà e fatto conoscere a livello nazionale e internazionale, ma negli ultimi anni gli andava stretta: sapeva di essere Libereso, un uomo libero, un anarchico innamorato della natura, un saggio che pensa che la terra debba essere conosciuta, curata, difesa. Negli ultimi anni le energie fisiche erano calate, parlava meno e spesso voleva fossi io a introdurre gli incontri o a rispondere alle domande, nascondendo il calo delle sue forze con la piccola bugia che io ero bravo e sapevo raccontare le cose meglio. Poteva così intervenire solo quando voleva e aspettava con calma il momento delle dediche, il più bello per lui di ogni incontro. La voglia di viaggiare non gli è mai mancata. Dopo la rottura del femore, che dal mese di aprile l’ha costretto a una lunga convalescenza, adagosto, seduto sulla sedia a rotelle mi ha chiesto di portarlo all’estero. Scherzosamente gli ho detto che lo avrei portato a Mentone e lui mi ha risposto che voleva andare più lontano, “dove parlano inglese”. Il fisico non era in grado di reggere la sua voglia di fare. Non vedeva il momento di prendere in mano il nuovo libro, cui avevamo lavorato negli ultimi mesi e di cui mi chiedeva sempre notizie e voleva preparare una raccolta solo di fumetti. Negli ultimi giorni parlava poco, ti accoglieva con un sorriso solare; guardava con serenità dal balcone il suo giardino, dove le sue pratiche di vita e resistenza avevano trovato concreta attuazione. Un giardino, dove aveva ricevuto ogni giorno amici o ammiratori, venuti anche da molto lontano per conoscerlo e ai quali, dopo una lezione di saggezza, aveva regalato qualche seme o talea. In alcuni casi, per i più fortunati, anche un acquerello botanico o un fumetto: disegnare è sempre stata una sua grande passione. Ci mancherà il suo sorriso, le sue frasi semplici, ma sempre profonde; la saggezza di chi sa che si deve partire sempre dall’attenzione alle piccole cose, senza le quali non esisterebbero quelle più grandi. Grazie per tutto quello che hai fatto e ci hai lasciato. Ora sei andato da solo a scoprire un nuovo giardino, buon viaggio. Claudio Porchia